Questa volta non voglio parlare di un’opera, almeno non direttamente, ma della storia che le sta dietro.
È il 28 gennaio 1671 quando Clemente X, eletto al soglio da nemmeno un anno, con un “breve” proclama beata Ludovica Albertoni, una terziaria francescana vissuta a cavallo tra quattro e cinquecento.
Ludovica Albertoni nasce figlia di nobili nel 1473-74 e fin da giovane pare dia prova di un sentimento religioso fuori dal comune. In giovane età va in sposa al nobiluomo romano Giacomo Della Cetera dal quale ha tre figlie ma la sua morte nel 1506 scatena una guerra legale con la famiglia di lui che vuole sottrarle l’eredità. Vinta la causa e convenientemente accasate le figlie, Ludovica entra come terziaria nell’ordine francescano dedicandosi indefessamente a opere di carità. Particolarmente intenso fu il suo impegno per sottrarre alla prostituzione o a matrimoni forzati le ragazze meno fortunate, insegnando loro a tessere per guadagnare una sia pur minima indipendenza, e durante i luttuosi mesi del Sacco del 1527 durante i quali si guadagnerà il titolo un po’ pasoliniano di “Mamma di Roma”. Morirà nel 1533 per non meglio specificate “febbri”, forse malaria, e verrà sepolta nella nella tomba di famiglia dei Della Cetera a San Franceso a Ripa, chiesa che frequentava con assiduità.
Per quanto la sua agiografia riporti dei più che convenienti episodi di estasi e levitazione, Ludovica, fino all’ascesa di Emilio Altieri in arte Clemente X non sembrava essere nella rampa di lancio della Congregazione per i Riti, ma la beatificazione s’ha da fare e per un motivo abbastanza preciso.
Il neoeletto Clemente X non ha giovani parenti maschi cui far rivestire l’ormai proverbiale posizione di Cardinal Nepote quindi fa sposare un’erede femmina a un membro della famiglia Paluzzi Albertoni, nobili di vecchia data che ormai navigano in cattive acque. Grazie a questa parentela, Clemente X adotta in blocco la famiglia rinominandola d’imperio Altieri come lui e, guarda caso, compreso nel pacchetto c’è anche il Cardinale Paluzzo, abile ed esperto prelato già in auge al tempo di Urbano VIII, che diventa Cardinale Altieri e assurge al suddetto rango di Cardinal Nepote.
A questo punto il prestigio impone di nobilitare in qualche modo la cappella di famiglia di San Francesco a Ripa, e chi meglio di Ludovica, unico personaggio un po’ degno di nota della famiglia fino a quel momento? Viene indetto un concorso al quale partecipano i più bei nomi della scultura di quegli anni ma ad aggiudicarselo è Bernini, e non perché “è Bernini”. Il nostro infatti, incredibile a dirsi, si offre di fare il lavoro gratis. Oddio, proprio gratis no: un prezzo, per quanto irrisorio, c’è ed è noto ai più al punto da finire addirittura su un Avviso di Roma, l’equivalente dell’odierna stampa gossippara. La contropartita che Bernini chiede al Papa è la grazia per il fratello minore Luigi (quello che da giovane voleva fregargli Costanza Bonarelli, resa immortale da una delle opere più belle del maestro), più volte pizzicato in flagranza di sodomia e già ripetutamente perdonato grazie al cognome, nel 1670 viene beccato mentre violenta un ragazzo in un recinto (“in presenza della statua di Costantino”, addirittura) causando al malcapitato svariate fratture, c’è chi dice sedici. È la goccia che fa traboccare il vaso, e a quel punto il cognome gli serve appena a commutare la pena in esilio e confisca dei beni. Risaputa la cosa, perfino la regina Cristina, onnipresente nella Roma barocca, intercede per lui al che Clemente X decide di accontentare tutti andando sul sicuro con il pur ormai anziano Cavalier Bernino.
Le cronache non ci hanno tramandato la reazione del povero giovane multifratturato ma il dubbio che non abbia tratto grande soddisfazione dall’aver in qualche modo contribuito alla (relativa) gloria della famiglia Altieri rimane.
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